venerdì 18 settembre 2009

Quei ragazzi del sud morti a trent'anni


di Dacia Maraini

da "Il Mattino" del 18.9.09

(...) Il tenente Antonio Fortunato, nato a Lagonegro, (Potenza) 35 anni fa era il comandante della pattuglia, lascia una giovane moglie, Gianna e un figlio di sette anni. Il sergente maggiore Roberto Valente di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nato nel ’72, doveva lasciare l’Afghanistan a novembre. Era ripartito ieri da Napoli per Kabul dopo una licenza di 15 giorni. Si trovava sul convoglio che lo portava dall’aeroporto alla base militare. Il caporal maggiore Giannantonio Pistonami di Lubriano (Viterbo), da 4 anni in Afghanistan, doveva rientrare in Italia fra 40 giorni. Aveva già subito un attentato. Raccontano che si sia salvato nascondendosi per un giorno intero sotto un camion. Il caporal maggiore Davide Ricchiuto nato nell’83 a Glarus in Svizzera, figlio di emigrati salentini di Tiggiano, autista di mezzi militari, non era alla prima missione in Afghanistan, appena possibile tornava in Paese a casa dai suoi. Il caporal maggiore Massimiliano Randino di Pagani (Salerno), era appena arrivato a Kabul dopo una licenza di dodici giorni, era sposato da 5 anni, era alla terza missione in Afghanistan, aveva 10 anni di servizio alle spalle. Il primo caporalmaggiore Matteo Mureddu, nato a Oristano nel 1983 avrebbe dovuto sposarsi a giugno, ma aveva rimandato per terminare la missione in Afghanistan.

Scorrendo questi nomi non si può fare a meno di notare che sono tutti, meno uno, meridionali, e che sono tutti sui trent’anni e che hanno tutti un posto di responsabilità nell’esercito. Ha un significato? Si potrebbe dedurre che, come succede spesso, coloro che rischiano di più nel nostro Paese sono coloro che nascono in famiglie del Sud, in situazioni difficili, spesso costretti ad emigrare. E questo infonde nei loro animi la voglia di lavorare sodo, di costruirsi una identità attraverso l’adesione a un corpo sociale organizzato. Ma certo, ogni interpretazione è arbitraria in questa scarsezza di notizie, addosso a un evento appena accaduto.

Certamente però si può affermare che questi giovani uomini hanno perso la vita rappresentando l’Italia e si può affermare che il loro sacrificio ci rende più che mai consapevoli che il nostro Paese, con tutti i suoi difetti, le sue mancanze e le sue storture, è la più forte radice del nostro stare al mondo, e si propone al nostro affetto come una unità inscindibile.

Il sacrificio di questi uomini dovrebbe mettere a tacere una volta per tutte le voci stonate di chi si crede geograficamente superiore, e in nome di questa superiorità pretende di dividere il Paese.

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