domenica 14 febbraio 2010

La favola del paese che va

di MASSIMO GIANNINI

da "Repubblica" de 13.2.10

La recessione mondiale ci presenta il conto. E per l'Italia è un conto salatissimo. Il crollo del 4,9 per cento del Prodotto interno lordo generato dalla nazione nel 2009 non colpisce tanto per la sua dimensione epocale: uno schianto di questa portata non si registrava da ben trentanove anni. Stupisce anche per la sua progressione tendenziale: nel quarto trimestre dell'anno passato politici incoscienti e analisti confidenti scommettevano su una ripresa, magari anche modesta, e invece il Pil è caduto ancora (del 2,8 per cento sul quarto trimestre 2008, e dello 0,2 sui tre trimestri precedenti).
Alla faccia di Berlusconi e Tremonti, dunque, la nave non va proprio. E stavolta il premier non può raccontare all'opinione pubblica la solita favola rassicurante, che ripete come un esorcismo da due anni a questa parte: "l'Italia va meglio degli altri". Nell'ultima parte del 2009, quanto a tassi di crescita, anche i Paesi più in affanno nel G7 (dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna) hanno dato segnali di risveglio. Solo noi continuiamo a languire, e a deperire, nel "grande sonno" dell'accidiosa propaganda governativa. Ecco cosa significa accontentarsi del "meno peggio", come ha scritto tre giorni fa Tito Boeri su questo giornale. L'Italia paga il costo del suo immobilismo. La sedicente "politica del fare", soprattutto in economia, è precipitata ormai da troppo tempo in un renitente "governo del non fare".

È vero. Questa stralunata "Berlusconomics", attendista e rinunciataria, ha consentito all'Italia di sfilarsi momentaneamente dal girone infernale del Club Med (...)

Ma sul fronte delle riforme di sistema e delle misure per lo sviluppo il Paese vive forse uno dei periodi più bui della sua storia. Non si vede uno straccio di politica economica. La riforma fiscale, annunciata in pompa magna dal Cavaliere, è già finita nel solaio di Tremonti e nel dimenticatoio dei contribuenti. La riforma del Welfare, auspicata solennemente da Sacconi, giace in un limbo inafferrabile. Non si vede, soprattutto, un barlume di politica industriale. La Fiat delocalizza in Brasile e in Messico e chiude Termini Imerese, e Scajola non trova di meglio da fare che giocare al gatto col topo sugli incentivi e smerciare ogni giorno improbabili piani di riconversione. Le multinazionali pesanti come Alcoa e Glaxo se ne vanno, lasciando per strada operai e impiegati, le grandi industrie della ricerca come Motorola e Italtel chiudono, licenziando ingegneri e personale qualificato (...)

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